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Alcune fonti farebbero derivare gli scacchi da un gioco che avrebbe avuto origine in India presso l'impero Gupta attorno al VI secolo, il chaturanga: questo, secondo questo indirizzo interpretativo, avrebbe in seguito dato origine a varie forme del gioco nelle diverse regioni asiatiche (scacchi cinesi, coreani e giapponesi) e occidentali: presso i Persiani dapprima (che, modificandolo, lo chiamarono shatranj), quindi presso gli Arabi e infine nell'Europa medievale.

Secondo altre teorie, gli scacchi deriverebbero invece dallo xiangqi (di origine cinese) o da qualche sua variante.

In Spagna lo "shatranj" divenne ajedrez, in Portogallo xadrez, in Grecia zatrikion, mentre nel resto d'Europa si diffuse il termine persiano shah, dal quale deriva anche l'italiano "scacchi".

Altre fonti, diversamente, attribuiscono al gioco cinese l'origine del gioco indiano.

Non trascurabile è, inoltre, il probabile influsso che nell'area greco-ellenistica possano aver avuto, nei primi secoli dell'era cristiana, giochi da tavolo greci e romani sul più tardo gioco indiano.

Dall'area indo-persiana il gioco, a seguito della conquista araba della Persia, si è diffuso nella civiltà araba (dopo l'VIII-IX secolo) dove conobbe uno sviluppo anche nella teoria del gioco: il primo trattato scacchistico di cui si ha conoscenza, opera di un medico di Baghdad, fu scritto nell'892.

Dagli Arabi ha conosciuto una diffusione verso nord seguendo due direttrici: attraverso l'Oriente bizantino verso la Russia e la Scandinavia (dove sembra attestato prima che in Occidente) e tramite la Spagna araba, e probabilmente la Sicilia, in tutto l'Occidente europeo.

Gli scacchi hanno raggiunto l'Europa occidentale e la Russia da almeno tre percorsi geografici, a partire dal IX secolo, coprendo tutta l'Europa intorno all'anno 1000.

Le prime fonti europee risalgono all'inizio del XI secolo.

Tra queste, significativi il testamento del conte di Urgel (Catalogna) che lascia alla Chiesa i suoi beni, tra cui una scacchiera, ed una lettera del cardinale Pietro Damiani al Papa Alessandro II del 1060 in cui denuncia la diffusione del gioco.

In Spagna nel XIII secolo fu redatto un famoso manoscritto, il Libro de los juegos, che trattava gli scacchi, la "tavola reale" (backgammon) e i dadi, ed era promosso da Alfonso X di Castiglia.

Dall'Europa araba il gioco si diffuse nel resto del continente, favorito anche dal successo che aveva nella cultura cavalleresca, nonostante fosse inizialmente contrastato dalle autorità politiche e religiose: ad esempio, nel 1254, Luigi IX proibì il gioco in terra francese.

Tuttavia il gioco divenne presto simbolo di conoscenza e potere, e già dal XV secolo divenne il "gioco dei re", praticato da sovrani quali Enrico I, Enrico II, Giovanni I e Riccardo I d'Inghilterra, Filippo II e Alfonso II di Spagna, Ivan il Terribile, zar di Russia.

Ciò contribuì ad accrescerne la fama e la diffusione in Europa.

Inizialmente, in Europa le regole non differivano dal gioco arabo, lo shatranj (evoluzione del Chaturanga), caratterizzato da una scacchiera senza colori e da regole che rendevano piuttosto lento lo svolgimento del gioco: la "fersa" (la donna nella successiva evoluzione) muove diagonalmente di una sola casa; l'"elefante" (poi "alfiere", o "vescovo" in inglese) muove solo di due case in diagonale, potendo perciò saltare gli altri pezzi ma essendo ristretto a muovere su un quarto delle case della scacchiera, e in ogni caso impossibilitato a incontrare un altro elefante; i pedoni muovono sempre di una sola casa e promuovono sempre a fersa; infine, sebbene gli altri pezzi (torre - che perciò è l'unico pezzo in grado di compiere sostanziali movimenti lunghi, cavallo e re) muovano secondo le regole odierne; non esiste l'arrocco.

Nel corso dei secoli, la necessità di velocizzare il gioco, in particolare essendo le partite giocate per scommessa, comportò progressivamente l'adozione di movimenti più veloci, soprattutto dell'alfiere e della donna, e all'adozione di variazioni alle regole originarie: nel "Libro del Acedrex" scritto dal re di Castiglia Alfonso X il Saggio nel 1283, il movimento dei pezzi presenta già alcune variazioni, con la donna più mobile.

Altro trattato di scacchi è il "De Ludo", scritto dal frate Jacopo da Cessole, risalente al primo XIV secolo.

Un'altra innovazione, volta a saltare la noiosa fase di sviluppo dei pezzi e che conobbe una discreta fortuna al punto di essere stata tramandata fino a noi, fu l'adozione dei cosiddetti "tabi", ossia delle posizioni di partenza con i pezzi già sviluppati.

Alla fine del XV secolo in Italia e in Spagna vengono definitivamente fissate le regole moderne del gioco, ovvero viene creata una variante (chiamata, se è necessario evitare confusione, "scacchi occidentali" o "scacchi internazionali") che si impone sugli altri sistemi di gioco: i pedoni avevano l'opzione di avanzare di due case al momento della loro prima mossa con la conseguente opzione per l'avversario di mangiarlo en passant; gli Alfieri potevano muoversi lungo tutto una diagonale libera (invece di essere limitati a muoversi obbligatoriamente di due case diagonali) e perdevano la possibilità di saltare la casa di colore diversa del loro colore; la Regina, su suggestione, pare, della figura di Caterina Sforza, sostituisce definitivamente la precedente figura del Visir, può muoversi in tutte le direzioni senza limitazione di distanza, il che l'ha resa il pezzo più potente presente sulla scacchiera (prima poteva solo muoversi di una casa alla volta in senso diagonale).

Esistevano ancora delle differenze nelle regole per l'arrocco e l'esito in caso di patta.
Litografia del primo congresso degli scacchi negli Stati Uniti (New York, 1857).

Questi cambiamenti, nel loro insieme, hanno reso il gioco degli scacchi più suscettibile di studio profondo, favorendone molto la diffusione.

Da allora, in Europa, il gioco si è giocato quasi allo stesso modo con le regole che sono state congelate nel XIX secolo, tranne per le condizioni esatte di una patta.

Nel Cinquecento il gioco conobbe un'evoluzione nella teoria, con numerosi trattati, come l'opera di Lucena pubblicata a Salamanca del 1497, Repetición de Amores y Arte de Ajedrez (il più antico libro stampato sugli scacchi a noi pervenuto).

Altri giocatori famosi scrissero trattati, come Damiano (1512) e Ruy López, nel cui "Libro de la invención liberal y arte del juego de Axedrez", del 1561, viene elaborata una teoria delle aperture, e c'è un approccio scientifico allo studio.

Celebre è anche il Manoscritto di Gottinga, pubblicato in data sconosciuta ma probabilmente compresa tra il 1471 e il 1505.

Nel Seicento e nel Settecento il gioco conosce giocatori professionisti come Gioacchino Greco (1600-1634), e il francese François-André Danican Philidor (1726-1795) entrambi autori di trattati di scacchi.

Nel XVIII secolo il centro di riferimento del gioco si sposta dai paesi meridionali verso la Francia, soprattutto grazie al già citato Philidor, che scoprì l'importanza strategica dei pedoni, e a Louis-Charles Mahé de La Bourdonnais.

In quel periodo i luoghi di diffusione del gioco erano soprattutto i "caffè" delle grandi città europee, come il Café de la Régence a Parigi e il Simpson's Divan a Londra.

Nel XIX secolo si svilupparono le organizzazioni dedite al gioco degli scacchi, con la nascita di numerosi club e l'inizio di pubblicazioni specializzate, libri e riviste.

Iniziarono anche le sfide fra i club di città diverse, come quella del London Chess Club contro l'Edinburgh Chess Club giocata nel 1824.

Nello stesso periodo i problemi di scacchi divennero comuni nei giornali ed aumentò il numero degli esperti dediti alla stesura dei medesimi, tra i quali spiccarono Bernhard Horwitz, Josef Kling e Samuel Loyd.

La pubblicazione del primo manuale completo sulla teoria degli scacchi risale al 1843: si tratta del Handbuch des Schachspiels di von der Lasa.

 


 


Una leggenda racconta che un re indù, di nome Iadava, vinse una grande battaglia per difendere il suo regno, ma per vincere dovette compiere un'azione strategica in cui suo figlio perse la vita.

Da quel giorno il re non si era più dato pace, perché si sentiva colpevole per la morte del figlio, e ragionava continuamente sul modo in cui avrebbe potuto vincere senza sacrificare la vita del figlio: tutti i giorni rivedeva lo schema della battaglia, ma senza trovare una soluzione.

Tutti cercavano di rallegrare il re, ma nessuno vi riusciva.

Un giorno si presentò al palazzo un brahmano, Lahur Sessa, che, per rallegrare il re, gli propose un gioco che aveva inventato: il gioco degli scacchi.

Il re si appassionò a questo gioco e, a forza di giocare, capì che non esisteva un modo di vincere quella battaglia senza sacrificare un pezzo, ovverosia suo figlio.

Il re fu finalmente felice, e chiese a Lahur Sessa quale ricompensa egli volesse: ricchezze, un palazzo, una provincia o qualunque altra cosa.

Il monaco rifiutò, ma il re insistette per giorni, finché alla fine Lahur Sessa, guardando la scacchiera, gli disse: «Tu mi darai un chicco di grano per la prima casa, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via».

Il re rise di questa richiesta, meravigliato del fatto che il brahmano potesse chiedere qualunque cosa e invece si accontentasse di pochi chicchi di grano.

Il giorno dopo i matematici di corte andarono dal re e lo informarono che per adempiere alla richiesta del monaco non sarebbero bastati i raccolti di tutto il regno per ottocento anni.

In questo modo, Lahur Sessa insegnò al re che una richiesta apparentemente modesta può nascondere un costo enorme.

In effetti, facendo i calcoli, il brahmano chiese 18.446.744.073.709.551.615 (18 trilioni 446 biliardi 744 bilioni 73 miliardi 709 milioni 551mila 615) chicchi di grano (2^0 + 2^1 + 2^2 + \dots + 2^{63} = {2^{64} - 1}).

In ogni caso, il re capì, il brahmano ritirò la richiesta e divenne il governatore di una delle province del regno. Una fonte accreditata ne La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig riporta invece l'uccisione del monaco.