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Jiddu Krishnamurti
(1895 - 1986)

« C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente. »
(Tratto da di fronte alla vita)

Jiddu Krishnamurti (Madanapalle, 12 maggio 1895 – Ojai, 18 febbraio 1986) è stato un filosofo apolide. Di origine indiana, non volle appartenere a nessuna organizzazione, nazionalità o religione. Non va confuso con Uppaluri Gopala Krishnamurti, anch'egli filosofo indiano.

Biografia

Nel 1909, ancora ragazzo, fu notato da C.W. Leadbeater in India, sulla spiaggia privata della sede della Società Teosofica (un movimento filosofico fondato nel 1875 dall'americano Henry Steel Olcott e dall'occultista russa Helena Petrovna Blavatsky) di Adyar, un sobborgo di Chennai nel Tamil Nadu. È considerato l'ultimo Iniziato vivente in attesa della venuta del futuro Maitreya; l'allora presidente della Società Teosofica Annie Besant che lo teneva vicino come fosse suo figlio, lo allevò con lo scopo di utilizzare le sue capacità come veicolo del pensiero teosofico.

Viaggiò per il mondo tutta la sua vita fino all'età di novant'anni parlando a grandi folle di persone e dialogando con gli studenti delle numerose scuole da lui costituite con i finanziamenti che otteneva. Quello che stava a cuore a Krishnamurti era la liberazione dell'uomo dalle paure, dai condizionamenti, dalla sottomissione all'autorità, dall'accettazione passiva di qualsiasi dogma. Il dialogo era la forma di comunicazione che preferiva. Voleva capire insieme ai suoi interlocutori il funzionamento della mente umana e i conflitti dell'uomo.

Riguardo ai problemi della guerra e della violenza in genere, era convinto che solo un cambiamento dell'individuo può portare alla felicità e che le strategie politiche, economiche e sociali non siano soluzioni radicali alla sofferenza umana. Insisteva sul rifiuto di ogni autorità spirituale o psicologica, compresa la propria, ed era interessato a capire come la struttura della società condizioni l'individuo. Era strettamente vegetariano.

Da un'intervista fatta ad una sua amica Pupul Jayakar sappiamo che Jiddu Krishnamurti fu consapevole dell'arrivo della sua morte fisica, tanto da confidarle: "Questa sera io mi allontanerò e passeggerò sulle montagne e la nebbia salirà". Poche ore dopo entrò in coma: era il 17 febbraio 1986 (fonte: documentario "Krishnamurti e il risveglio interiore"). La frase "La nebbia salirà" è molto significativa e non dà spazio a fraintendimenti.

L'Ordine della Stella d'Oriente

Krishnamurti teneva conferenze ai membri dell'Ordine della Stella d'Oriente, organizzazione fondata nel 1911 con l'intento di preparare l'avvento del "Maestro del Mondo", alla quale era stato messo a capo appena sedicenne dal suo tutore legale, Annie Besant.

Molto presto cominciò a mettere in discussione i metodi teosofici sviluppando un suo pensiero indipendente. Il giovane Krishnamurti fu sottoposto ad una serie di "iniziazioni" che gli causarono una grave crisi psicologica dalla quale riuscì a venir fuori nel 1922 a Ojai Valley, California, in seguito ad una straordinaria esperienza mistica che poi lui stesso raccontò.

Da quel momento in poi sarà sempre più in contrasto con i "teosofi" insistendo sull'inutilità dei riti liturgici per la crescita spirituale e rifiutando il ruolo di autorità finché dopo una lunga riflessione, all'età di 34 anni (nel 1929) sciolse l'Ordine e cominciò a viaggiare per il mondo esprimendo il suo pensiero, basato su un'assoluta coerenza interiore e una indipendenza totale da qualunque tipo di organizzazione.

Gli incontri, il "ponte" con la scienza

Nel 1938 Krishnamurti incontrò Aldous Huxley che divenne suo amico e grande ammiratore. Nel 1956 incontrò il Dalai Lama. Intorno agli anni sessanta conobbe il maestro yoga B.K.S. Iyengar, dal quale prese lezioni. Nel 1984 parlò con gli scienziati del Los Alamos National Laboratory in New Mexico, U.S.A. Il fisico David Bohm, amico di Albert Einstein trovò nelle parole di Krishnamurti dei punti in comune con le sue nuove teorie fisiche. Questo diede vita ad una serie di dialoghi tra i due che contribuirono a costruire un "ponte" tra il cosiddetto misticismo e la scienza. Altri scienziati trovarono molto stimolanti i discorsi di Krishnamurti su argomenti quali il tempo, la morte, il pensiero.

Cenni del suo insegnamento

Krishnamurti parlava di come nello specchio dei rapporti (umani e con le cose) ognuno può scoprire il contenuto della propria coscienza che è comune a tutta l'umanità (non-dualismo tipico dell'Advaita Vedānta). E diceva che questo può essere fatto in modo diretto, scoprendo che la divisione tra osservatore e ciò che è osservato è in realtà dentro noi stessi. Diceva che proprio questa divisione dualistica, che impedisce la percezione diretta è alla base del conflitto e dell'infelicità dell'uomo.

Celebre e significativa è la sua affermazione "la Verità è una terra senza sentieri" che può ben rappresentare il nocciolo del suo insegnamento che ha spronato l'uomo a liberarsi da ogni strada già tracciata, dal passato, dai dogmi, dalle ideologie, guardando la realtà senza alcun condizionamento.
« Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una "fede". La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri. (Discorso di scioglimento dell'Ordine della Stella, 3 agosto 1929, Ommen, Paesi Bassi »

Un'altra delle sue frasi celebri era "la vera rivoluzione per raggiungere la libertà è quella interiore, qualsiasi rivoluzione esterna è una mera restaurazione della solita società che a nulla serve" ed inoltre "la rivoluzione interiore va fatta da sé per sé, nessun maestro o guru può insegnarti come fare".

L'importanza dell'educazione

Krishnamurti considerava fondamentale la questione dell'educazione e fondò molte scuole in Inghilterra, India e Stati Uniti. Insisteva nel dire che la scuola deve essere un posto dove l'insegnante e l'allievo esplorano non solo il mondo esterno della conoscenza ma anche il proprio pensiero e il proprio comportamento per capire il condizionamento che distorce la realtà. Solo liberi dai condizionamenti, diceva, si può veramente imparare. Alcune sue frasi celebri:

"Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo"
"Non serve dare risposte, ma spronare gli uomini alla ricerca della verità"

Dopo la sua morte le scuole private sparse un po' in ogni continente hanno cercato di continuare l'opera di Jiddu Krishnamurti. In Europa la scuola più famosa è quella di Brockwood Park, Bramdean, Hampshire (UK), ma ne esistono ad Ojai in California e numerose in India. Ogni anno nel mese di luglio il comitato svizzero organizza incontri vicino alla località di Saanen (Svizzera), luogo in cui Krishnamurti teneva alcune delle proprie conferenze.

Necessario per comprendere J. Krishnamurti è l'intenzione di non aspettarsi aiuti dall'esterno bensì di porsi come maestri di se stessi e di scavare per scoprire l'umanità partendo dalla intimità.

Critiche

Helen Nearing, che conobbe Krishnamurti negli anni venti, affermò in "Loving and Leaving the Good Life" che l'atteggiamento di Krishnamurti era condizionato dalla sua posizione privilegiata. Questo, secondo Nearing, era dovuto al fatto di essere sostenuto, addirittura viziato, dai suoi devoti sostenitori fin dalla sua "scoperta" da parte dei teosofisti. Lei disse inoltre che Krishnamurti era ad un tale "elevato" livello che non era capace di intrattenere normali relazioni personali.

Nel suo libro "Lives in the Shadow with J. Krishnamurti" del 1991, Radha Rajagopal Sloss, figlia dei soci di Krishnamurti ormai separati Rosalind and Desikacharya Rajagopal, scrisse riguardo alla relazione di Krishnamurti con i suoi genitori, inclusa una relazione amorosa clandestina tra Krishnamurti e Rosalind che si protrasse per parecchi anni. Questa pubblica rivelazione fu accolta con sorpresa e costernazione da molti, ma accettata dalla Krishnamurti Foundation of America; fu inoltre trattata da Mary Luytens in un capitolo della biografia "Krishnamurti and the Rajagopals."

U.G. Krishnamurti riferì di avere intrattenuto per un periodo discussioni quasi giornaliere le quali – asseriva – non procuravano alcuna soddisfacente risposta alle sue domande. Alla fine i loro incontri cessarono. Così descrisse parte della loro ultima discussione: «Allora, verso la fine, insistei nel dire: "Dai, esiste nulla dietro i concetti astratti che mi stai gettando contro? E quello rispose: "Non hai modo di saperlo per te stesso." Punto – quella fu la fine della nostra relazione, vedi – "Se non ho modo di saperlo, tu non hai alcun modo per comunicarlo. Cosa diavolo stiamo facendo qui? Ho sprecato sette anni. Addio, non voglio più vederti." E me ne andai.».

 

 

 


EMIL CIORAN
(1911-1995)

Emil M. Cioran (Rășinari, 8 aprile 1911 – Parigi, 20 giugno 1995) è stato un filosofo, saggista e aforista rumeno, tra i più influenti del XX secolo.

Dal 1933 al 1935 visse a Berlino e dalla seconda guerra mondiale in poi risiedette in Francia con lo statuto di apolide; scrisse i primi libri in rumeno, ma dalla fine del conflitto in poi scrisse sempre in francese e, nonostante non fosse il suo idioma di nascita, viene considerato da molti uno dei migliori, se non il migliore, prosatore in questa lingua di tutti i tempi.

Vicino al pensiero esistenzialista, si distacca comunque dal movimento esistenzialista francese per la sua distanza ideologica dai principali esponenti quali Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus, rifiutando l'impegno politico attivo sul fronte progressista, e condividendo la filosofia dell'assurdo del suo amico Eugène Ionesco, ma caricandola di pessimismo estremo. Cioran è infatti influenzato da Nietzsche, Schopenhauer, Heidegger (peraltro rispetto al tecnicismo di quest'ultimo maturerà un'estrema reazione) e successivamente anche da Leopardi (pur, per sua stessa ammissione, mai profondamente conosciuto, ma avvertito quale "fratello d'elezione"), dai quali trae il suo nichilismo e il suo pessimismo. I suoi aforismi, anche per esperienze personali, sono infatti pervasi da una profonda amarezza e misantropia, che però vengono temperate dalla sua acuta ironia e dalla sua capacità di scrittura.

Biografia

Cioran nacque a Rășinari, in Transilvania (al secolo una provincia dell'Impero austro-ungarico, attualmente parte della Romania), l'8 aprile del 1911 da una benestante famiglia rumena.

Il padre, Emilian Cioran, era un sacerdote ortodosso, dapprima attivo a Rășinari ed in seguito, in veste di curato, presso la vicina Sibiu; la madre, Elvira Comaniciu, era originaria di Venetia de Jos (Venezia del Sud), un comune situato nei pressi della città di Făgăraș. Il padre di Elvira, Gheorghe Comaniciu, era un notaio, asceso allo status di barone grazie al favore di cui godeva presso le autorità asburgiche.

Sebbene fossero rumeni, non era infrequente che i genitori, nel privato, parlassero anche in ungherese, idioma che il padre aveva imparato frequentando per un certo tempo le scuole elementari ungheresi. Durante la prima guerra mondiale, i genitori di Emil, come per molti intellettuali di origine rumena, erano stati confinati dalle autorità dell'Ungheria; il padre a Sopron (Ödenburg) e la madre a Cluj (Klausenburg), lasciando i figli alle cure della nonna a Rășinari. Cioran ha dichiarato di aver avuto un'infanzia molto felice ("coronata") fino al trasferimento alle scuole medie di Sibiu: «È stata la fine del mio sogno, il crollo del mio mondo». Già nell'adolescenza è colpito da grave insonnia, un male che lo segnerà in maniera indelebile.

Formazione culturale
Dopo gli studi classici al liceo Gheorghe Lazăr di Sibiu, a 17 anni Cioran iniziò a studiare filosofia all'Università di Bucarest. Frequentando l'università ebbe modo di fare conoscenza con Eugène Ionesco e Mircea Eliade, che insieme a Cioran avrebbero formato un gruppo di amici per tutta la vita. Il futuro filosofo rumeno Constantin Noica e il futuro pensatore rumeno Petre Țuțea divennero i suoi più stretti colleghi nel periodo in cui fu sotto la direzione di Tudor Vianu e Nae Ionescu.

Conoscendo il tedesco molto bene, i suoi primi studi si incentrarono su Immanuel Kant, Arthur Schopenhauer e specialmente Friedrich Nietzsche. In questo periodo si professò agnostico, assumendo l'assioma «l'inconvenienza dell'esistenza». Per il suo interesse per varie forme di spiritualità, dal punto di vista filosofico, è stato definito "ateo-credente".

Durante i suoi studi fu anche influenzato dalle opere di Georg Simmel, Ludwig Klages e del filosofo russo Lev Šestov, che aggiunse al suo sistema di pensiero la convinzione che la vita è arbitraria. Ammirava anche i cinici, gli stoici, ed Epicuro , e successivamente studiò anche Heidegger.
Un francobollo commemorativo legionario della Guardia di Ferro, il movimento di destra a cui Cioran aderì brevemente in gioventù.

Si laureò con una tesi su Henri Bergson che successivamente ripudiò, affermando che non aveva compreso la tragicità della vita.


Trasferimento in Germania e periodo nella Guardia di Ferro
Dopo aver pubblicato Al culmine della disperazione nel 1933 ottenne una borsa di studio presso la fondazione Humboldt, grazie alla quale si trasferì a Berlino, dove entrò in contatto con Nicolai Hartmann e Ludwig Klages, poi a Dresda e a Monaco, dove assisté all'instaurazione della dittatura hitleriana (1933) e alla sua presa definitiva del potere nella notte dei lunghi coltelli (1934).

Pur professando il suo scetticismo verso tutti gli idealismi e dichiarandosi persecutore dell'utopia, in quegli anni si entusiasmò di fronte al vitalismo e al misticismo dei nazisti:
« Alcuni dei nostri amici crederanno che sono diventato hitleriano per ragioni di opportunismo. La verità è che qui ci sono certe realtà che mi piacciono e sono convinto che la cialtroneria autoctona potrebbe essere arginata, se non distrutta, da un regime dittatoriale. In Romania solo il terrore, la brutalità e un'inquietudine infinita potrebbero far cambiare qualcosa. (...) È terribile essere romeno: non guadagni la fiducia affettiva di nessuna donna e gli uomini non ti prendono sul serio; anzi se sei intelligente ti prendono per un imbroglione. »
(Lettera a Petre Comarnescu, 27 dicembre 1933.)

Al suo rientro in Romania, nel 1935, venne in contatto con il locale movimento fascista della Guardia di Ferro che abbandonò solo nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale. In una foto si è sostenuto (ma la cosa è controversa) che il giovane Cioran fosse ritratto, accanto ad un altro "legionario" ed egualmente in divisa, assieme al leader Corneliu Zelea Codreanu. Di questa "infatuazione" non andrà fiero e scrisse qualche anno dopo: «Come ho potuto essere ciò che sono stato?».


Prime opere e allontanamento dal fascismo
Avvenne in questi anni la pubblicazione dei primi libri in lingua rumena, tra cui Trasfigurazione della Romania, che gli valse l'etichetta di antisemita:
« Se fossi ebreo mi suiciderei all'istante. (...) si sono opposti con tutte le forze delle quali dispone il loro imperialismo sotterraneo, il loro cinismo e l'esperienza secolare. Il regime democratico della Romania ha avuto la sola missione di sostenere gli ebrei e il capitalismo giudaico-romeno »
(Trasfigurazione della Romania, pp. 132-133)

Nello stesso periodo, però, prova simpatia anche per il bolscevismo russo, anche se non ne approva il materialismo.

Nel 1936 per un anno insegnò filosofia al liceo di Brașov: «l'unico anno della mia vita in cui mi sia capitato di lavorare.» I suoi alunni lo consideravano un folle, e pensavano avesse la sifilide: egli fece un test e rimase deluso dal non averla contratta, poiché, a suo dire, era "prestigiosa".

Dal 1940 in poi, e ancora di più nel dopoguerra, cambiò idea sugli ebrei definendo ogni ebreo come suo "fratello nel dolore", ancora prima che venisse fatta piena luce sullo sterminio avvenuto. Già all'epoca dell'invasione tedesca della Francia, egli provava avversione per le precedenti idee, rinnegando il suo pamphlet, e negando sempre ogni ristampa, fino all'edizione rumena di Bucarest, in cui però taglierà le parti xenofobe, nazionaliste e razziste. Probabilmente, a mostrare la vera realtà del nazismo che fino ad allora aveva ingenuamente visto come un movimento di idealisti, fu la deportazione del suo amico ebreo Benjamin Fondane ad Auschwitz, che cercò inutilmente di impedire.

Dopo aver abbandonato le idee fasciste professate per qualche anno, spesso si domandò come avesse potuto scrivere certe cose, sotto l'influsso di quell'ambiente politico , scrivendo al fratello Aurel:
« L'epoca in cui ho scritto Trasfigurazione della Romania è per me incredibilmente lontana. A volte mi domando se sia stato proprio io a scriverlo. In ogni caso, avrei fatto meglio ad andare a spasso nel parco di Sibiu... L' entusiasmo è una forma di delirio. »

Nel 1956 dedicò agli ebrei un intero capitolo di La tentazione di esistere, intitolato "Un popolo di solitari":
« Essere uomo è un dramma; essere ebreo, un altro ancora. Così l'Ebreo ha il privilegio di vivere due volte la nostra condizione. (...) Durante tutto il Medioevo gli Ebrei si fecero massacrare perché avevano crocifisso uno dei loro. Nessun popolo ha pagato così caro un gesto sconsiderato, ma comprensibile, e tutto sommato naturale. »

Nel dopoguerra non prese più posizioni politiche attive, anche se si definì "liberale intrattabile". e sostenne che "tutte le società sono cattive; vi sono dei gradi, lo riconosco, e se ho scelto questa in cui vivo (la democrazia francese) è perché so distinguere fra le sfumature del peggio."


Il trasferimento definitivo in Francia

Nel 1937 si trasferì in Francia con una borsa di studio dell'istituto francese di Bucarest per fare una tesi di dottorato. Nel 1947, mentre stava scrivendo una traduzione in rumeno di Mallarmé, decise che non sarebbe rientrato in Romania e che avrebbe da allora in poi scritto solo in lingua francese. Nel 1949 pubblicò il Sommario di decomposizione, opera che aveva già riscritto 4 volte prima di ritenerla pronta per la pubblicazione. L'attenzione e la cura posta nella scrittura in francese ne ha fatto uno dei migliori prosatori in questa lingua. Dopo aver letto il manoscritto del Sommario, alcuni consulenti editoriali e critici ne rimasero "folgorati", colpiti dallo stile unico e inconsueto che apprezzarono molto: tra di essi André Gide.

Cioran non rientrerà più in Romania, neanche dopo la rivoluzione rumena del 1989, a causa di problemi di salute che lo colpiranno in età avanzata.

Dal dopoguerra al 1989, infatti, il regime comunista lo privò della cittadinanza e divenne apolide, e Cioran visse con lo status di rifugiato in Francia. Riguardo però al suo pensiero, in un'intervista del 1970 a François Bondy l'autore dichiarò che il meglio della sua dottrina era in lingua romena: «Un libro uscito a Bucarest nel 1933: Al culmine della disperazione, che contiene già tutto quello che verrà dopo. È il più filosofico dei miei libri.»

In Francia rimase isolato dall'ambiente culturale dominante; criticò pesantemente il marxista Jean-Paul Sartre, che spesso sedeva vicino a lui al café Flore, ma a cui non rivolgeva mai la parola. Albert Camus, meno distante filosoficamente da lui (si pensi al tema dell'assurdo), lo incitò un giorno a impegnarsi politicamente e socialmente, al che Cioran gli rispose pesantemente di andarsene a quel paese. Suoi amici nell'ambiente intellettuale erano Mircea Eliade e Eugene Ionesco, connazionali esuli e anche loro avversi al regime comunista rumeno di Ceaușescu. Le loro opere erano proibite al di là della "cortina di ferro". Quanto a Sartre, nel Sommario di decomposizione ne traccia un caustico e anonimo (ma riconoscibile) ritratto, una critica dell'intellettuale impegnato (sulla scia di quello che Schopenhauer, Nietzsche e Leopardi dicevano degli impegnati dei loro tempi): «impresario di idee», «pensatore senza destino», nel quale «tutto è notevole, salvo l'autenticità», «infinitamente vacuo e meravigliosamente ampio», ma proprio per questo capace, con un'opera che "degrada il nulla" come una merce, di soddisfare «il nichilismo da boulevard e l'amarezza degli sfaccendati».

Era anche molto amico di Samuel Beckett, Henri Michaux e Gabriel Marcel. Tentò di esserlo anche con Paul Celan (poeta ebreo, suicida nel 1970), che curò la versione tedesca del Sommario di decomposizione, ma sostenne che era impossibile, perché "tutto lo feriva".

Visse in povertà, prima, e in semplicità dopo il successo di vendite dei suoi libri, rifiutando ogni premio letterario tranne il "Premio Rivarol" nel 1950. Negli anni ottanta ebbe una breve relazione sentimentale con la giovane insegnante tedesca di filosofia Friedgard Thoma, senza per questo lasciare la compagna Simone Boué, che aveva poi sposato, e che, anzi, come scrive lei stessa, divenne poi amica della Thoma. All'epoca dell'incontro, Cioran aveva 72 anni e la Thoma 36. Nelle lettere raccolte dalla donna emerge un Cioran meno pessimista e più vitalista di quanto appaia nelle sue opere letterarie e filosofiche.

Colto dalla malattia di Alzheimer nel 1989, morì a Parigi il 20 giugno 1995 all'età di 84 anni, dopo un lungo periodo di declino psicofisico, in cui comunque non perse la sua lucidità, almeno fino a pochi giorni prima del ricovero all'ospedale di rue Pascal, 54; tra maggio e giugno concesse infatti un'ultima intervista.

È sepolto al cimitero di Montparnasse che, con il Père Lachaise, è il principale luogo di sepoltura di molti illustri intellettuali e artisti legati a Parigi, dove nel 1997 lo raggiunge, probabilmente suicida - fu trovata annegata nell'oceano atlantico - la moglie Simone Boué, che lasciò il carteggio del marito e l'istituzione di una borsa di studio al CNL (Centre national du livre), per scrittori di lingua francese che avessero già pubblicato un'opera con a tema una riflessione personale, nello spirito di Cioran, su un soggetto di ordine generale.


Pensiero
« Il paradiso geme al fondo della coscienza, mentre la memoria piange. Ed è così che si pensa al senso metafisico delle lacrime e alla vita come al dipanarsi di un rimpianto »
(Emil Cioran , Lacrime e santi)


La filosofia come terapia
Nell'ambito del pensiero filosofico, Cioran si colloca tra quelle figure che esulano dai canoni stabiliti dall'epoca e dai sistemi, e che non fanno parte di nessuna corrente o scuola. Il suo stile è caustico, diretto e profondamente emotivo, poiché egli scrive non per diffondere le proprie idee ad un pubblico, bensì per dissipare la propria sofferenza, derivante da un'insonnia costante che lo conduce sull'orlo del suicidio.

«L'insonnia è una vertiginosa lucidità che riuscirebbe a trasformare il Paradiso stesso in un luogo di tortura. Qualsiasi cosa è preferibile a questo allerta permanente, a questa criminale assenza di oblio. È durante quelle notti infernali che ho capito la futilità della filosofia. Le ore di veglia sono, in sostanza, un'interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero, è la coscienza esasperata da se stessa, una dichiarazione di guerra, un infernale ultimatum della mente a se medesima. Camminare vi impedisce di lambiccarvi con interrogativi senza risposta, mentre a letto si rimugina l'insolubile fino alla vertigine.».

L'ammirazione per la concettualità filosofica ha occupato, in realtà, solo la più tenera formazione di Cioran. Non appena pervenuto all'età di ventuno anni, quando pubblica Al culmine della disperazione egli si rende conto che il soccorso della filosofia è totalmente precario, che i suoi lineamenti concettuali incontrano solo faticosamente le esigenze tragiche incarnate nella vita. Il ricorso a quella che può essere definita una forma di letteratura terapeutica, poiché grazie ad essa desiste dall'uccidersi, è il vero riscatto nella vita del filosofo. Egli non ama tanto la scrittura in quanto atto poietico, ovvero in quanto produttrice di un'opera finita, ma in quanto activitas che dissolvendo lo stritolamento esistenziale consente la vivibilità della vita.

Dilaniato da contraddizioni insanabili, il pensiero di colui che si autodefinisce un filosofo urlatore si manifesta attraverso affermazioni volutamente provocatorie.

Qualsiasi giudizio su questa figura del Novecento deve tener conto che egli ha fatto dello scandalo artistico uno stile di vita, dell'arte un'esplosione di sentimenti e della scrittura una valvola di sfogo prettamente personale.

La Romania
Cioran nasce in Romania, paese latino in mezzo alle nazioni slave, cristiano ortodosso che diventa comunista passando per una forma di fascismo. Una terra ricca di tradizioni e di superstizioni, il cui popolo, secondo Cioran, «è il più scettico che esista: è allegro e disperato al tempo stesso. Per ragioni storiche coltiva la religione del fallimento», aggiungendo: «ricordo della mia infanzia un tizio, un contadino al quale toccò una grande eredità. Passava la giornata di taverna in taverna, sempre ubriaco, accompagnato da un violinista che suonava per lui. Mentre gli altri andavano in campagna a lavorare, lui passeggiava di taverna in taverna, l'unico uomo felice al mondo. Quando sentivo il suono del violino correvo a vederlo passare, perché mi affascinava. Spese tutto in due anni e poi morì.»


La lingua francese
Nonostante un fortissimo senso d'appartenenza al paese d'infanzia ("darei tutti i paesaggi del mondo per quello della mia infanzia") Cioran, arrivato a Parigi nel 1937, sceglie il francese come lingua di scrittura, pubblicando il suo primo saggio in questa lingua (Précis de décomposition) nel 1949 da Gallimard. In "Storia e utopia" (1960) il filosofo spiega il suo rapporto conflittuale e resistente con questa lingua, dotata di «una sintassi d'una rigidità, d'una dignità cadaverica» e in cui non c'è «più alcuna traccia di terra, di sangue, d'anima.».

Nel 2011 una raccolta delle sue opere è stata inserita nella prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade di Gallimard.

La nascita come sciagura
(FR) « Il n'y a plus d'êtres, il n'y a que ce pullulement de moribonds atteints de longévité, d'autant plus haïssables qu'ils savent si bien organiser leur agonie. »
(IT) « Non vi è che questo pullulare di moribondi affetti da longevità, tanto più detestabili in quanto sanno organizzare così bene la loro agonia. »
(da La caduta nel tempo)

L'atteggiamento di Cioran nei confronti dell'esistenza si estrinseca in un'apologia del non-essere e quindi del suicidio: vivere è una disgrazia e la nascita un'irrimediabile sciagura.

Nell'opera L'inconveniente di essere nati del 1973 egli mette a fuoco la visione tragica dell'esistere e il suo pessimismo che è l'estremizzazione di quello di Schopenhauer dal quale trae anche l'interesse per il Buddhismo e la teorizzazione dell'incubo del dolore del vivere:
« "Tutto è dolore". La formula buddhista, modernizzata, suonerebbe: "Tutto è incubo". .... Non mi perdono di essere nato. È come se, insinuandomi in questo mondo, avessi profanato un mistero, tradito un qualche impegno solenne, commesso una colpa di inaudita gravità. Mi capita però di essere meno perentorio: nascere mi appare allora una calamità che sarei inconsolabile di non aver conosciuto. »

È questo l'assurdo che caratterizza il pensiero di Cioran: odiare la vita ma nello stesso tempo apprezzarne le esperienze, anzi considerarle irrinunciabili.

Ma mentre valorizza in un certo senso i travagli dell'esistenza egli sente anche il fascino del nulla, dell'abisso originario.
« Nessuna differenza tra l'essere e il non-essere, se si percepiscono con pari intensità .... Ci fu un tempo in cui il tempo non era ancora... Il rifugio della nascita non è altro che la nostalgia di quel tempo anteriore al tempo. »
« Il terrore di fronte all'avvenire si innesta sempre sul desiderio di provare quel terrore .... Nascita e catena sono sinonimi .... Non nascere è indubbiamente la migliore formula. Non è purtroppo alla portata di nessuno. »

L' "Ardimentoso Disinganno"
Non c'è dubbio che l'opera di Cioran, pur dispiegandosi in vari libri anche lontani tra loro in ordine di tempo e di argomento, sia pervasa totalmente da uno spirito crudele ma al contempo speranzoso, come il disinganno: crudele perché di fronte ad esso ogni fenomeno mondano sfocia nel fallimento, speranzoso perché niente è più istruttivo, in filosofia, del fallimento stesso.

Gli scritti di Cioran hanno il marchio della vertigine e della lucidità, non sono scritti secondo finalità pedagogiche. E per questo risultano estremi, laconici epitaffi di un'esistenza casuale, priva di senso, permeata dall'amarezza.
« Vi sono notti in cui l'avvenire si abolisce, e di tutti i suoi momenti sussiste soltanto quello che sceglieremo per non più essere.» »

Il suicidio
Emil Cioran fornisce al suicidio una lettura totalmente inedita. Esso, anziché costituire l'espressione massima di disillusione e disperazione di fronte ad un'esistenza invivibile, è paradossalmente ciò che consente la vita. Ciò è possibile nella misura in cui l'esistenza è percepita in termini assoluti come lacerante costrizione inevadibile; in tale prospettiva, il suicidio rappresenta il carattere più pieno della libertà esercitabile dall'uomo che, nell'impotenza vitale, ha in ogni momento l'onnipotenza della cessazione del Tutto, la negazione estrema di ogni alterità insostenibile. L'uomo, in ultima analisi, può sobbarcarsi il peso della vita solo nella misura in cui sa di poter recarsi la morte.
« Ricordo un'occasione in cui per tre ore ho passeggiato nel Lussemburgo con un ingegnere che voleva suicidarsi. Alla fine l'ho convinto a non farlo. Gli ho detto che l'importante era aver concepito l'idea, sapersi libero. Credo che l'idea del suicidio sia l'unica cosa che rende sopportabile la vita, ma bisogna saperla sfruttare, non affrettarsi a tirare le conseguenze. È un'idea molto utile: dovrebbero farci delle lezioni nelle scuole! »

L'ironia
L'ironia capace di cogliere l'assurdità della vita salva Cioran e i suoi lettori dal pessimismo e dal nichilismo. L'ironia e l'umorismo che l'accompagna rendono tollerabile l'esistenza che talvolta appare paradossale dandole un nuovo senso razionale da cui ricominciare a vivere senza inganni.
« Non c'è nulla che giustifichi il fatto di vivere. Dopo essersi spinti al limite di se stessi si possono ancora invocare argomenti, cause, effetti, considerazioni morali, ecc.? Certamente no. Per vivere non restano allora che ragioni destituite di fondamento. Al culmine della disperazione, solo la passione dell'assurdo può rischiarare di una luce demoniaca il caos. Quando tutti gli ideali correnti - di ordine morale, estetico, religioso, sociale, ecc.- non sanno più imprimere alla vita una direzione né trovarvi una finalità, come salvarla ancora dal nulla? Vi si può riuscire solo aggrappandosi all'assurdo, all'inutilità assoluta, a qualcosa, cioè, che non ha alcuna consistenza, ma la cui finzione può creare un'illusione di vita». »

Mostrare, non spiegare
Il sistema filosofico di Cioran è quello di rinnegare il sistema, le regole, il formalismo accademico: non pretende di spiegare e dimostrare ma solo mostrare cos'è la vita parlando di se stesso come uomo e non dell'astratta umanità.

Varie ed apparentemente incompatibili tra loro sono le strade del pensiero che egli percorre:

la fisiologia mistica (in Lacrime e santi);
la storia e la filosofia (in Storia e utopia);
la letteratura (in Esercizi di ammirazione);
la religione (in Il funesto demiurgo);

ma che conducono tutte ad un unico risultato: il fallimento che segna ogni vita e che le dà senso.
« Soffrire è produrre conoscenza »
(E.Cioran - Il funesto demiurgo)


Insonnia e autoanalisi
In Cioran pensiero e vita si sovrappongono spietatamente.
Le notti passate ad occhi aperti hanno influito, come più volte riportato dallo scrittore stesso in quasi tutti i suoi libri, sullo sviluppo e sulla stesura delle opere stesse. Le notti insonni trascorse in letture e in taccuini riempiti forsennatamente hanno costruito e forgiato il pensiero attraverso la noia, eterna compagna, e la lucidità esasperata da una solitudine che proprio nelle ore notturne induce all'autoanalisi. Un'analisi di se stesso condotta senza risparmiare colpi, mirata a scrutare nei propri abissi e di conseguenza in quelli dell'umanità stessa.

Il tempo
Ed è proprio in questo contesto che entra in gioco un concetto, che sarà minimo comun denominatore, anche se in certe occasioni velato, di tutta la produzione cioraniana: il tempo, nelle sue diverse accezioni, tempo storico e tempo esistenziale.
« Tutti parlano di teorie, di dottrine, di religioni, insomma di astrazioni; nessuno di qualcosa di vivo, di vissuto di diretto. La filosofia e il resto sono attività derivate, astratte nel peggior senso della parola. Qui tutto è esangue. Il tempo si converte in temporalità, ecc. Un ammasso di sottoprodotti. D'altro canto gli uomini non cercano più il senso della vita partendo dalle loro esperienze, ma muovendo dai dati della storia o di qualche religione. Se in me non c'è niente che mi spinga a parlare del dolore o del nulla, perché perdere tempo a studiare il buddhismo? Bisogna cercare tutto in se stessi, e se non si trova ciò che si cerca, ebbene, si deve lasciar perdere. Quello che mi interessa è la mia vita. Per quanti libri sfogli, non trovo niente di diretto, di assoluto, di insostituibile. Dappertutto è il solito vaniloquio filosofico. »

Lo studioso
Non bisogna dimenticare che oltre al pessimismo e allo scetticismo di Cioran, che non si definisce come filosofo ma come un pensatore privato "Privatdenker", esiste il Cioran profondo conoscitore della filosofia.

Fu studioso dell'illuminismo e dei memorialisti francesi, dei Padri della Chiesa e dei filosofi scettici (pirroniani), ma anche della filosofia pessimista tedesca di Schopenhauer, Mainländer, Nietzsche, Otto Weininger, Georg Simmel, Oswald Spengler, Dilthey e dei mistici e della mistica, anche per i suoi contatti con Mircea Eliade (storico delle religioni e dello sciamanesimo), come Meister Eckhart, Teresa d'Avila, Kierkegaard, Lev Šestov. Tra le sue ispirazioni vi sono anche l'esistenzialismo di Heidegger, Henri Bergson che poi abbandonerà, gli utopisti Tommaso Moro, Fourier, Cabet, Campanella, la grande letteratura con citazioni di Baudelaire, Poe, Mallarmé, Shakespeare, Shelley, Dostoevskij, Fitzgerald, Dante e Leopardi.

Come detto, ebbe amicizie e relazioni intellettuali, oltre che con i citati Mircea Eliade ed Eugene Ionesco, con Benjamin Fondane, Caillois, Henri Michaux, María Zambrano, Samuel Beckett, Guido Ceronetti, Pietro Citati, Paul Celan, Fernando Savater, Mario Andrea Rigoni.